Selfie (2019)
Regia: Agostino Ferrente
Titolo originale: id.
Nazionalità: Italia/Francia
Anno di uscita: 2019
Genere: documentario
Durata: 76′
Cast: Alessandro Antonelli (se stesso), Pietro Orlando (se stesso)
Cast tecnico:
Soggetto: Agostino Ferrente; Fotografia: Alessandro Antonelli, Pietro Orlando; Montaggio: Letizia Caudullo, Chiara Russo; Musica: Cristiano Defabriitis, Andrea Pesce; Suono: Benni Atria (Sound design);
Produzione: Marc Berdugo, Anne Charbonel, Barbara Conforti, Fabrice Puchault, Gianfilippo Pedoto per Magnéto, Arté Francia, Casa delle visioni, Rai Cinema, Istituto Luce – Cinecittà
Distribuzione Italiana: Istituto Luce-Cinecittà
Data di uscita: 30/5/2019
Intreccio e personaggi
Durante l’afosa estate del 2018, il regista arriva a Napoli con l’idea di realizzare un documentario a partire dallo sconvolgente fatto di cronaca di quattro prima che ha segnato gli abitanti del rione Traiano. Quello in cui il sedicenne Davide fu ucciso da un poliziotto che lo aveva scambiato per un latitante. Durante il primo approccio, in cui inizia a fare varie interviste ai coetanei del ragazzo, il regista stabilisce un contatto con Alessandro e Pietro, due coetanei di Davide tra loro molto diversi, che mostrano da subito la ferma intenzione di entrare a far parte del progetto filmico. Alessandro è cresciuto in assenza del padre, ha abbandonato presto la scuola dopo aver litigato con un’insegnante che gli voleva far imparare a memoria L’infinito di Leopardi e al momento lavora in un bar per il quale fa anche le consegne a domicilio. Pietro invece è disoccupato, vorrebbe iniziare una dieta che gli faccia perdere peso e il suo sogno è quello di diventare parrucchiere. Entrambi sono costretti a trascorrere l’estate in città, il primo per il lavoro e il secondo perché ha deciso di stare accanto all’amico. Il regista decide di coinvolgerli affidando loro due Iphone, così che possano raccontare il rione in cui sono cresciuti attraverso il loro sguardo. Ha inizio così il racconto in “video-selfie” dei due ragazzi, le immagini dei quali vengono alternate a quelle delle telecamere a circuito chiuso posizionate sui principali snodi del rione.
Temi
Il film nasce come un’indagine documentaria alla cui origine c’è l’idea di raccontare un preciso contesto (il rione “Traiano” di Napoli) a partire da un fatto di cronaca. Nella scelta di farlo attraverso gli occhi dei coetanei del ragazzo scomparso, risiede tuttavia la volontà di adottare uno sguardo interno, coinvolto sia nei tempi sia nelle ritualità che ne caratterizzano la quotidianità. A ciò si collega poi la scelta di affidare gli strumenti di ripresa direttamente ai protagonisti, delegando dunque alle persone direttamente coinvolte non solo il cosa riprendere, ma anche la scelta di come farlo (seppur attraverso discussioni preventive con la “guida” della regia). Durante il corso della lavorazione Selfie assume così una nuova prospettiva, diventando anche un documento sulle modalità della rappresentazione del Sé, un tema centrale nell’epoca degli smartphone e dei social network. Se dunque a un primo livello il film è il racconto di un luogo attraverso le contraddizioni che vi si esprimono, a un secondo diventa una profonda e stratificata riflessione sull’immagine, sulla rappresentazione del sé, sulla distanza che intercorre tra la flagranza del reale e le modalità attraverso le quali catturarla.
Linguaggio
Alla base c’è una scelta estetica rivoluzionaria. Non quella di utilizzare l’Iphone come strumento di ripresa – intrapresa già da altri autori -, bensì quella di elidere le figure del direttore della fotografia e dell’operatore di macchina. Operazione che innanzitutto porta alla ridefinizione di uno degli elementi linguistici fondamentali del racconto audiovisivo: il punto di vista. Quelli di Alessandro e Pietro sono infatti dei punti di vista reali, in quanto non più filtrati dallo sguardo del regista e dell’operatore. In secondo luogo perché, mettendo se stessi all’interno dell’inquadratura, si costringono (e ci costringono) a riconfigurare il concetto d’inquadratura e a riformularne gli equilibri e i rapporti che l’hanno fin qui regolata. Nel racconto tutto ciò è alternato ai punti di vista delle telecamere di sorveglianza, ovvero a camere associate a un punto di vista impersonale, che non appartiene a nessuno. Soluzione che mette così in evidenza come il racconto sia costruito attraverso un processo dialettico il cui denominatore comune è costituito da punti di vista sganciati dall’apparato cinematografico. Una scelta che, prima di essere estetica dunque, è politica e morale.
Scheda didattica redatta da Francesco Crispino