Io Capitano (2023)

Regia: Matteo Garrone

Titolo originale: nd
Nazionalità: Italia, Belgio
Anno di uscita: 2023
Genere: drammatico
Durata: 121’ 

Fasce età consigliate:

– 14 -16

– 16+

TRAILER

SCHEDA IMBD

Cast Artistico: Seydou Sarr, Moustapha Fall; Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna

Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo GaudiosoMassimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri Cinematografia: Paolo Carnera MusicheAndrea Farri MontaggioMarco Spoletini Scenografia: Dimitri Capuani Produttore: Matteo Garrone, Paolo Del Brocco

Produzione: Archimede, Rai Cinema, Tarantula, Pathé, Logical Content Ventures, RTBF, VOO, BeTV, Proximus, Shelter Prod

Distribuzione Italiana: 01 Distribution
Data di uscita: 4 settembre  2023 (cinema)

Sinossi

Due sedicenni senegalesi, Seydou e il cugino Moussa, lasciano Dakar di nascosto dai genitori per seguire il sogno di una vita da favola in Europa. Ma il viaggio in automobile e in aliscafo per cui hanno dato tutti i loro risparmi di lavoro, si rivela una tremenda Odissea nel deserto, a piedi, dal Mali al Niger, fino a giungere in Libia. Qui Seydou, rimasto solo e senza soldi, finisce in un centro di detenzione gestito dalla mafia locale, viene torturato e poi venduto come muratore. Liberato grazie a un lavoratore africano anziano, ritrova Moussa e lo porta con sé su un peschereccio fatiscente carico di persone, dove lo scafista nomina Seydou capitano per non correre rischi. Nel mezzo di una tempesta e senza rotta, riuscirà ad approdare stremato in Italia.

Temi

Film epico a tinte oniriche sul moderno genocidio silenzioso dei “dannati della Terra”, Io Capitano prende spunto dalla vicenda realmente accaduta del minorenne Fofana Amara per costruire un romanzo di formazione spietato, e tracciare la micidiale parabola della speranza che si trasforma in incubo dal punto di vista dell’Africa e dei suoi figli. Prendendo le distanze dall’edificante paternalismo sociologistico occidentale, ribalta l’ottica sul fenomeno migratorio mettendo idealmente la cinepresa negli occhi incantati del protagonista, facendo della sua ingenuità mortificata dai tanti avvoltoi che si accaniscono sulle inermi creature clandestine trattate come carne da macello il fulcro della narrazione. Mostrando il paradosso della decadente normalità post-capitalista vista come il Paese dei Balocchi per raggiungere il quale è necessario il sacrificio di passare attraverso l’inferno della povertà che si accanisce su se stessa, Garrone lascia volutamente fuori dal quadro quell’Occidente dove probabilmente avranno inizio nuove e diverse odissee non meno disumane: privilegiando la poesia muta dei tanti eroi senza nome di cui Seydou è il simbolo.

Linguaggio

Che quello di Garrone sia un cinema di immagini più che di parole, è quantomai evidente in questa elegia visiva, dove il regista riesce a rendere le sfumature liriche dei sentimenti e delle illusioni attraverso la forza della composizione dell’immagine, nell’uso magistrale dei campi e dei piani di inquadratura e nel rapporto costante tra i giovani corpi dei protagonisti e il paesaggio sublime, che la fotografia di Carnera avvolge in una luce costante di sogno: non solo nella grandiosità dei deserti e nell’impeto del mare, ma anche narrando i sobborghi di Dakar traboccanti di colori teneri e spenti, dove le vestigia di un Occidente preso a modello non arrivano a scalfire l’antica, pasoliniana dignità dei volti della gente. L’interpretazione delicata e incantevole dei giovani protagonisti, attori non professionisti, accompagna lo spettatore nella dimensione più atavica e innocente dell’adolescenza, e l’uso sapiente quanto parco di effetti speciali per trascendere le asperità del reale trasfigurandole in tappe del Viaggio dell’Eroe, contribuisce a imprimere commozione autentica in questa corolla di emozioni simili a quelle del principe Siddharta che esce dal palazzo a scoprire la brutale verità del mondo fuori. Il montaggio fluido e sapiente di Spoletini esalta smussandole al punto giusto queste visioni pittoriche, allontanando nella profondità della musica e nel ritmo dell’azione i rischi di calligrafismo. Ciò che più colpisce è la capacità di narrare un orizzonte fuori del tempo, rendendo archetipica la prosa delle tante cronache con cui un Occidente insincero infioretta le sue abiure dal persistente colonialismo economico all’origine del fenomeno migratorio. Anche la scelta di girare il film nella lingua madre del Senegal, il wolof, fa capo a questa ricerca di purezza stilistica, che pone Io Capitano in quel ristretto numero di opere (come ad esempio La battaglia di Algeri di Pontecorvo), che pur essendo di finzione, sono più vicine nello spirito al cinema diretto di Rouch che alla retorica hollywoodiana.

 

Scheda didattica redatta da SERAFINO MURRI

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